Condanna penale dell'amministratore - Riconoscimento dei danni al socio - Limiti (Cass. 19.4.2010 n. 9295) DI MEOLI
La condanna penale dell'amministratore, con sentenza passata in giudicato, non assicura al socio il diritto al risarcimento dei danni; ciò anche se, sempre in sede penale, si sia pervenuti ad una condanna generica al risarcimento. La condanna generica al risarcimento del danno, anche se contenuta in una sentenza penale, richiede il semplice accertamento della potenziale idoneità del fatto illecito a produrre conseguenze dannose, a prescindere dall'esistenza e dalla misura del danno, il cui accertamento è riservato al giudice della liquidazione. Pertanto, ogni affermazione della sentenza penale che non sia funzionale alla condanna generica è insuscettibile di acquistare autorità di giudicato e non impedisce che nel giudizio di liquidazione sia riconosciuta l'infondatezza della pretesa ove si accerti che in realtà nessun danno, anche per profili diversi da quelli contemplati nel giudicato penale e da questo non esclusi, si sia verificato o che quello esistente non sia eziologicamente ricollegabile al fatto illecito accertato in sede penale (cfr. Cass. 16.12.2005 n. 27723). Quanto all'esercizio dell'azione ex art. 2395 c.c. - che richiede la prova di un danno diretto nei confronti dei soci (o di terzi) - la Suprema Corte sottolinea come i giudici di merito abbiano evidenziato che quanto accertato in sede penale rappresentava certamente un'attività idonea a depauperare il patrimonio sociale, ma non a danneggiare direttamente l'appellante nella sua qualità di socio, il cui interesse alla conservazione del patrimonio sociale poteva essere salvaguardato solo con azioni proposte dagli organi sociali. È ritenuta corretta, quindi, l'applicazione del principio di diritto, affermato da Cass. SS.UU. 24.12.2009 n. 27346, che, in tali casi, esclude il diritto al risarcimento del danno in capo a ciascun socio. Rileva, peraltro, anche quanto sancito da Cass. 28.5.2004 n. 10271: essendo gli utili parte del patrimonio sociale, fin quando l'assemblea eventualmente non ne disponga la distribuzione in favore dei soci, la sottrazione indebita di tali utili ad opera dell'amministratore lede il patrimonio sociale, e solo indirettamente si ripercuote sulla posizione giuridica e sull'interesse economico del singolo socio, compromettendo la sua aspettativa di reddito e comprimendo il valore della sua quota.
Fonte: ilquotidiano del commercialista del 29 aprile 2010
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