Gli avvisi bonari non sono impugnabili: sono solo inviti al chiarimento
Non trova spazio nel quadro della giurisdizione tributaria vigente il ricorso contro una pretesa impositiva di fatto ancora “in bozza”, come nel caso delle comunicazioni indirizzate ai contribuenti e ai sostituti d’imposta – i cc.dd. “avvisi bonari” - il cui unico fine consiste nell’evitare l’eventuale reiterazione di errori e, al contempo, nel consentire al contribuente di evidenziare dati e notizie non considerati dall’Amministrazione finanziaria. In questo caso, come chiarisce la risoluzione n.110/E del 22 ottobre, si tratta di comunicazioni che si sostanziano in un mero invito al contribuente a fornire, in via preventiva, elementi chiarificatori delle anomalie riscontrate in sede di liquidazione automatizzata della dichiarazione, che, dunque, non sono espressione di un potere pubblicistico autoritativo e, come tali, non producono effetti negativi immediati per il destinatario. In pratica, ai fini dell’impugnabilità, un atto tributario emanato dall’Amministrazione finanziaria, spiega il documento di prassi, allineandosi con le recenti pronunce in materia della Corte di Cassazione, deve qualificarsi come avviso di accertamento o di liquidazione. Questi atti, infatti, a differenza degli “avvisi bonari”, sono espressione d’una pretesa impositiva definita e non condizionata. Requisiti questi che aprono la strada, di fatto, ad un eventuale impugnazione da parte del contribuente. Questo vale anche se l’atto non si chiude con l’intimazione al ricorso a strumenti esecutivi, bensì con un invito bonario a versare quanto dovuto.
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