Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
Stop al ravvedimento operoso se sono già iniziate le verifiche ispettive
Il ravvedimento operoso non è ammissibile ove siano già iniziati accessi, ispezioni, verifiche o altre attività amministrative di accertamento, stante quanto chiaramente disposto dall’art.13 del D.Lgs. n.472/97. Non ha, inoltre, rilievo il fatto che il versamento tardivo delle imposte - che ha dato origine alle sanzioni - sia avvenuto precedentemente. Questo è il principio enunciato dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 22781, depositata il 9 novembre.
L’immobile venduto a un’azienda legittima l’accertamento Irpef sulla plusvalenza
La presunzione che un bene immobile sia venduto al valore di mercato e, quindi, a quello accertato ai fini dell’imposta di registro, non è vinta dal rilievo che l’acquisto sia stato fatto da persone giuridiche, ben potendo queste, come quelle fisiche, pagare in nero il maggior prezzo rispetto a quello dichiarato nell’atto notarile; non può, infatti, assurgere al valore di presunzione contraria quella di insussistente veridicità delle scritture contabili. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione che, con l’ordinanza n. 22793 del 9 novembre, ha accolto il ricorso dell’Amministrazione finanziaria.
Rimanenze opere pluriennali: rilevano in capo all’appaltatore i costi relativi ai SAL
Per la determinazione delle rimanenze finali delle opere ultrannuali, nel caso di appalto per il quale una parte dei lavori vengano subappaltati, deve prevalere il principio di correlazione tra costi e ricavi, su cui si basa la valutazione “a corrispettivi” delle rimanenze, di cui all’art.93 del Tuir, rispetto al principio di competenza, di cui all’art.109 del Tuir medesimo. Ne consegue che rilevano in capo all’appaltatore i costi relativi ai SAL liquidati in via provvisoria al subappaltatore, che hanno concorso alla valutazione delle opere ultrannuali. A chiarirlo è l’Agenzia elle Entrate, che, con risoluzione n.117/E del 5 novembre, riconsidera la propria tesi precedente (R.M. n.260/E/09) e fa seguito a quanto recentemente affermato nell’istanza di interpello del 26 ottobre, presentata dall’Associazione dei costruttori (Ance).
Possibile modificare la dichiarazione con cause ostative in dichiarazione riservata di rimpatrio giuridico
Confermata la possibilità di modificare una dichiarazione riservata di rimpatrio fisico con cause ostative in una dichiarazione di rimpatrio giuridico con incarico alla fiduciaria di amministrazione anche senza intestazione. Assofiduciaria, con comunicazione n.70/2010, ha, infatti, reso nota una risoluzione delle Entrate, in cui viene condivisa questa soluzione. Gran parte delle dichiarazioni riservate per le quali non è possibile rimuovere le cause ostative, però, sono state presentate presso intermediari diversi dalle fiduciarie (banche, Sim, Sgr, eccetera). La nota dell’Agenzia afferma - in via, peraltro, incidentale - che l’incarico di amministrazione nell’ambito del “rimpatrio giuridico” deve essere conferito «alla stessa fiduciaria presso la quale è stata presentata la dichiarazione riservata», con ciò facendo sorgere il dubbio che, per l’Agenzia, il “cambio di intermediario” prima del perfezionamento dello scudo non sia consentito.
Minusvalenze e black list, omissioni assimilate: ipotesi delineata in un question time In sede di risposta ad un’interrogazione parlamentare del 17 novembre (n.5-03814) - con la quale è stato sollevato il problema dell’indeducibilità delle minusvalenze derivanti dalla negoziazione di partecipazioni in soggetti quotati, qualora non sia inviata apposita comunicazione (o in caso di comunicazione incompleta o infedele) - è stata ipotizzata la possibilità di assimilare la sanzione per l'omesso invio delle comunicazioni relative alle minusvalenze a quella prevista per la mancata indicazione dei costi black list: ciò comporterebbe, pertanto, il passaggio dall’indeducibilità dei relativi componenti negativi al concetto di violazione formale.
Il possesso di un grande studio non obbliga automaticamente all’Irap
Il solo possesso di uno studio, seppur di grandi dimensioni, da parte di un professionista non costituisce bene strumentale eccedente il minimo e, di conseguenza, non costituisce condizione sufficiente per determinare l’assoggettamento all’Irap. In ogni caso, sono i giudici di merito che devono accertare, di volta in volta, se lo studio, per dimensioni e ubicazione, possa essere considerato valore di bene strumentale minimale o meno. A stabilirlo è la Corte di Cassazione con ordinanza n.23155 del 16 novembre
Acquistare società fittizie allo scopo di ottenere vantaggi fiscali è abuso del diritto
Si configura come abuso di diritto e, quindi, come elusione fiscale, il tentativo di dividend washing organizzato attraverso una complessa operazione di acquisto presso società fittizie, allo scopo di creare dividendi da distribuire ai soci. Non è, infatti, lecito trarre indebiti vantaggi fiscali dall'utilizzo distorto di strumenti giuridici, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili diverse dalla mera aspettativa di quel vantaggio. Lo ha stabilito la sentenza n. 22994 della Corte di Cassazione, depositata il 12 novembre 2010.
No alla sospensione del processo tributario se pende un giudizio penale collegato
Non è ammissibile la sospensione del processo tributario in caso di contemporanea pendenza di un giudizio penale il cui esito potrebbe influire sulla decisione. È quanto affermato dalla Corte Costituzionale che, con l'ordinanza n. 335 del 24 novembre, ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità dell'art.39 del D.Lgs. n.546/92.
I dati contabili in dichiarazione non provano l’autonoma organizzazione
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 23446 del 19 novembre 2010, ha statuito che i dati contabili desumibili dalle dichiarazioni annuali e, in particolare, il valore dei beni strumentali non sono sufficienti all’Amministrazione Finanziaria per provare la presenza di un’autonoma organizzazione a carico di un professionista.
60 giorni per impugnare il provvedimento di rimborso parziale del credito
Al fine di non perdere il diritto ad ottenere il rimborso della parte residua del credito richiesto, il provvedimento di rimborso parziale emesso dall'Amministrazione Finanziaria deve essere impugnato dal contribuente davanti al giudice tributario entro sessanta giorni. Secondo la Corte di Cassazione (sentenza n.23786 del 24 novembre), infatti, qualora l’Amministrazione emetta un provvedimento di rimborso parziale, questo si configura, per la parte relativa all'importo non rimborsato, come atto di rigetto della richiesta di rimborso originariamente presentata, con la conseguenza che detto provvedimento costituisce atto impugnabile quale rifiuto espresso nel termine di sessanta giorni dalla notificazione.
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